I giovani e la vita consacrata

I giovani e la vita consacrata.

“I giovani e la vita consacrata”: un tema che mi ha colpito subito, quando ho avuto tra le mani la brochure del XLIV Convegno promosso dall’Istituto di teologia della Vita Consacrata Claretianum. Perché i giovani sono il presente e il futuro della vita consacrata, perché da essi la vita consacrata è fortemente provocata, perché la vita consacrata investe sui giovani e i giovani non sembrano più tanto interessarsi ad essa.

Sono cambiati i tempi? E’ cambiata la vita religiosa? Sono cambiati i giovani?

L’interessante lavoro del Convegno sarà certamente raccolto negli Atti: sottolineo alcuni passaggi che a me sono risultati significativi.

I giovani, proprio perché vivono questa fase della vita, sono impegnati nel costruire le loro identità e il loro domani. Per fare questo, cercano modelli significativi, punti di riferimento che oggi purtroppo non sono così a portata di mano. L’adulto oggi tende ad abdicare alla sua adultità in nome di una eterna giovinezza. Così nella società vengono a mancare gli adulti perdendo di vista la sacralità della vita che è tale in tutte le sue fasi.

La trasmissione della fede, prima di padre in figlio, in famiglia, in una società abbastanza semplice, ora non è più scontata. E gli interlocutori dei giovani diventano il web, Google, tanti falsi Guru che promettono ciò che non mantengono. Si fa strada il nichilismo. Sempre più ci troviamo davanti giovani che hanno imparato a vivere senza Dio.

Se questo è il contesto, quale futuro nella relazione tra giovani e fede? Quale significato per la vita consacrata rispetto alle giovani generazioni? Quale rilevanza?

La Vita consacrata o ridiventa segno visibile o è insignificante (non segno). Quando si rincorre la rilevanza sociale (essere riconosciuti come fornitori di servizi) a scapito dell’identità (segno visibile, luminoso, credibile dell’amore di Dio e del suo amore), si perde di vista l’essenziale. L’identità è il fondamento della rilevanza, non il contrario!

Ci troviamo di fronte alla fine del cristianesimo? No, semplicemente siamo in pieno passaggio: non più un cristianesimo tradizionale, trasmesso di generazione in generazione in modo automatico, ma un cristianesimo di minoranza, per conversione e per convinzione, dove la grazia lavora in un contesto di libertà. Non siamo dinanzi alla fine del cristianesimo, ma di un certo modo di vivere il cristianesimo. Non è la fine della fede, ma di un certo modo di intendere la fede. E così, non è la fine della vita consacrata, ma di una certa vita consacrata.

ITVC – Claretianum, Pontificia Università Lateranense Appunti di Suor Damiana dal Convegno I giovani nella vita…

Pubblicato da UISG International Union of Superiors General su Venerdì 14 dicembre 2018

 

Perché? Perché la logica oggi non è più quella della conservazione della fede (tramandare), ma dell’annuncio (attivare una capacità di scelta).

I giovani oggi non si accontentano più di ascoltare un maestro per poi ripetere ciò che dice, ma interpretano criticamente le informazioni.

Chiedono RADICALITÀ: il rischio alto non è quello di fermarsi a metà, ma di accontentarsi della metà.

Cercano interlocutori AUTENTICI, che volentieri perdano tempo con loro senza l’assillo dell’orologio e delle cose da fare. Cercano una vita vera, delle relazioni vere, coerenza, un camminare insieme riconoscendo le reciproche imperfezioni e crescendo nell’accoglierle e superarle.

Domandano di essere ASCOLTATI.

Proviamo a guardare al modo di entrare in relazione proprio di Dio (cfr Es 3). Il primo passo, in una buona conversazione è saper ascoltare. E man mano che ascolta, Dio si fa conoscere, cresce l’intimità con lui. E poi chiama e manda e porta a compimento con pazienza: corre il rischio di non essere amato, di perdere. Ascoltare allora è mettere in conto di morire. L’ascolto non è una tecnica, ma una kénosi, una spoliazione. È aprirsi all’alto rischio del fallimento.

In una conversazione nella fede, abbiamo da tenere presenti tre requisiti importanti. Primo, il valore. La vita dell’altro è più importante del mio ego: Gesù è morto in croce perché la mia vita ha valore. Anche la lentezza è un qualità: dare tempo significa dare attenzione alle persone, senza agitazione, senza la preoccupazione del tempo “perso”. E, da ultima, la castità è propria di un accompagnatore che ha a cuore la crescita e la felicità del suo interlocutore, dunque non attira a sé, non pretende di tenere sotto scacco la vita altrui. Rendere felice l’altro senza diventare indispensabili per la loro felicità è sperimentare una relazione casta.

Abbiamo tanto da imparare e da recuperare come vita consacrata. La sfida è mettersi ancora una volta, con umiltà e con fede alla scuola del Maestro, per imparare da Lui. Mettersi con pazienza e silenzio davanti alla sua Parola per lasciare che entri e operi nelle singole persone e come comunità.

Questo ci consentirà, come vita consacrata, di poter entrare tra gli interlocutori che i giovani interpellano e poter ancora “DIRE Dio” alle nuove generazioni, educando pazientemente e sapientemente quella grande attitudine che è la sensibilità, necessaria per orientare e motivare, per desiderare di cercare e trovare il proprio posto nella vita.

Sr Damiana TURUANI, sdc

Sr María del Carmen, fma

Immagini dal terzo giorno del XLIV convegno organizzato dal Claretianum sul tema: "I giovani nella vita consacrata: fede…

Pubblicato da ITVC – Claretianum, Pontificia Università Lateranense su Giovedì 13 dicembre 2018

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