Migrazione e missione. Sorelle e fratelli per il mondo
Articolo pubblicato sul numero di luglio-agosto della Rivista ComboniFem
La vita consacrata è internazionale e sempre più interculturale: molte religiose e religiosi emigrano per missione e vivono sradicamento e inculturazione. Per questo la loro esperienza è un ambito privilegiato per rispondere alle diverse esigenze dei migranti e dei rifugiati. Sicuramente la vita comunitaria, che fa “casa”, attenua l’estraneazione di religiose e religiosi all’estero, e radica l’impegno dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) tramite l’Ufficio internazionale migranti
«Vorrei che la vita religiosa, in nome della scelta che abbiamo fatto, fosse capace oggi di essere agente di cambiamento dentro questo movimento di popoli che ci sfida ogni giorno, con i suoi numeri e i suoi volti che ci chiedono attenzione. Non possiamo non rispondere».
Questo è l’auspicio di suor Florence de la Villeon, francese, responsabile dell’Ufficio internazionale migranti dell’Unione internazionale delle superiore generali. Dopo aver lavorato nei campi profughi in Sud Sudan e in Sicilia, ha sentito la spinta ad impegnarsi per i migranti a livello internazionale. È partita dalle inquietudini che circolavano tra le religiose:
«Che cosa caratterizza il nostro impegno come persone di Chiesa nel nostro lavoro al fianco dei migranti? Cosa ci rende credibili?».
La capacità di toccare il prossimo e di ascoltare; la libertà dal denaro e da interessi economici; la vita comunitaria che ci insegna, con fatica, che vivere insieme è possibile proprio a partire dalle nostre diversità; vivere l’integrazione passando per l’interculturalità; la possibilità di rispondere a bisogni materiali immediati, come offrire spazi organizzati per l’educazione, la salute, il sostegno spirituale e psicologico.
Sono proprio la missionarietà e l’interculturalità a rendere la vita religiosa un ambito privilegiato per rispondere alle diverse esigenze di migranti e rifugiati: dall’emergenza alla fornitura di beni essenziali; da progetti a lungo termine per l’integrazione a risposte più politiche, indirizzate dove le decisioni istituzionali vengono prese.
L’Ufficio internazionale migranti dell’Uisg intende dar voce e visibilità a tutto questo, mettendo in rete le religiose che, spesso nell’invisibilità, lavorano a fianco dei migranti. Nelle loro esperienze, suor Florence scopre una grande ricchezza e varietà di impegno e avverte che la Uisg, ampio spazio intercongregazionale e di lavoro di rete, sia il luogo più idoneo per creare dal basso questo network di “sorelle del mondo”.«Non si parla mai di quello che fanno; loro stesse non ne parlano. È importante sostenerle e aiutarle a rileggere la loro esperienza perché, da loro, altri e altre possano imparare che la convivenza è possibile», confida suor Florence. Progetto migranti Sicilia UISG
Spesso gli istituti religiosi sono nati in risposta a bisogni concreti: la sfida di oggi è anche l’esodo dei popoli. Le religiose e i religiosi sono dentro questo movimento, a fianco di migliaia di persone che lasciano la propria casa, per rendere la migrazione un’esperienza costruttiva. La missione con migranti e rifugiati diventa allora un vero “spazio teologico” che esige un cambiamento di vita. L’Ufficio internazionale migranti desidera connettere chi vive al loro fianco nei Paesi di partenza e in quelli di arrivo; creare una rete globale, tessuta da differenti culture.
Come ricorda il papa emerito Benedetto XVI, esiste un diritto a emigrare, ma anche uno a non emigrare.
Molte religiose e religiosi hanno accettato la sfida di camminare a fianco dei migranti, soprattutto dopo i numerosi appelli di papa Francesco. Da questa scelta nascono tante domande e sfide: anzitutto la necessità di adattare i ritmi della vita comunitaria a quelli di una missione che è difficile concepire con le categorie tradizionali.
È anche necessario incidere a livello delle istituzioni internazionali. Già alcune ong di congregazioni religiose sono accreditate presso l’Onu, dove contribuiscono alla discussione in vista del Global Compact.**
** Iniziativa Onu per incoraggiare politiche di sostenibilità e responsabilità sociale.
Una sfida anche per i monaci: Anzitutto, lasciarsi trasformare
Fra Johannes Maertens, belga, ha lavorato con suor Florence de la Villeon nel campo profughi di Calais, in Francia. Anche lui si è lasciato interrogare, toccare e trasformare dal fenomeno migratorio.
«Appartengo a un ordine di spiritualità benedettina, pertanto sono un monaco, ma svolgiamo anche vita attiva. Lo scorso ottobre, con un permesso speciale, ho iniziato la mia missione a Calais. Mi chiedevo: “Saprò conciliare la mia vita di preghiera con i ritmi imprevedibili di questa missione?”. Avevo l’idea che l’aiuto che serviva fosse concreto. Se non avessi fede, farei molta fatica a resistere qui, dove vedi tanta povertà e tanti bisogni. Poi mi sono accorto che stare qui, come monaco, mi dava anzitutto la possibilità di aprire un dialogo con i profughi; semplicemente stare con loro. Nella vita religiosa stiamo diventando vecchi, ma in questo campo di Calais abbiamo bisogno di persone con i capelli bianchi, perché una cosa che manca molto ai nostri fratelli e sorelle rifugiati sono genitori e nonni».
di Patrizia Morgante – Responsabile Ufficio comunicazione UISG